Questo blog vuole essere un luogo di incontro virtuale con i genitori dei bambini di Spazio Tex (tempo extra scuola), di tutti i bambini di Casatenovo, del mondo dell'associazionismo locale e di tutti coloro che credono nel mondo della scuola.
Fotografie dei nostri laboratori, spunti, segnalazione di eventi relativi al mondo dell'infanzia caratterizzano questa pagina..se vuoi condividere i tuoi talenti, darci dei suggerimenti, condividere buone pratiche ne saremo felici!

martedì 23 ottobre 2012

INCONTRO TRA ARTE E MUSICA


Questa volta ci siamo trasformati in pittori e, dopo aver acceso lo stereo, ci siamo lasciati guidare dalle note dei “Carmina Burana” di Carl Orff, ed in particolare da “O fortuna" ed abbiamo riversato sulla carta le emozioni che ha suscitato ad ognuno, ecco alcune opere d’arte!
Dopo di che i bambini hanno dato un titolo alle loro opere, eccone alcuni:
“Pasticcio di colori”
 “Il bosco delle fate”
 “Passeggiata col cane”
  “Fuoco e fiamme”
 “Miscuglio rock”



19-09-12, SI RICOMINCIA

Il prato di Spazio Tex


eccoci qui tutti pronti per iniziare una nuova avventura…
…e come in ogni avventura che si rispetti dobbiamo prima conoscere i protagonisti del viaggio!
E così, dopo aver giocato e chiacchierato tutti insieme ci accingiamo a presentarci in un modo un po’ particolare…ebbene sì, la nostra carta d’identità è una margherita, la margherita della conoscenza!
Ha cinque petali e ciascuno di essi ci racconta qualcosa di noi:
* uno è per il nostro colore preferito;
* uno è per il nostro gioco preferito;
* uno è per lo sport che pratichiamo o che ci piacerebbe praticare;
* uno è per il nostro animale preferito;
* e uno…è per liberare la nostra fantasia e per raccontare agli altri ciò che vogliamo.
Nel gambo invece abbiamo scritto il nostro nome e qualcuno ci ha anche spiegato il suo significato, è stato davvero interessante!
…alla prossima!







SPAZIO TEX 2012-2013




I bambini delle scuola primaria Grassi e Capoluogo accompagnati da un bel team di educatori si avventureranno in questi mesi in un percorso tra arte e teatro, musica, sport e soprattutto tanto divertimento!
Questo blog vuole essere una sorta di diario di bordo che attraverso i resoconti degli educatori e le foto dei laboratori e delle attività svolte con i bambini permette di tenere aggiornati i genitori, il mondo della scuola, il comune di Casatenovo, le associazioni del territorio e chiunque volesse seguirci!

Lo staff di Spazio Tex


lunedì 1 ottobre 2012

Il decalogo per la sicurezza in internet dei vostri figli


Dedicate insieme ai vostri figli un po’ di tempo per imparare l’uso di internet: è
un investimento per la loro salute e sicurezza, inoltre resterete sorpresi di quanto possa
essere divertente.

Quando accedete a internet definite insieme gli obiettivi della navigazione e
verificate al termine se li avete raggiunti: li educherete ad un uso adeguato e consapevole.

Attivate opportuni sistemi di protezione e filtro, come quello offerto da Davide.it.

Non mettete il computer nella stanza dei ragazzi, ma in un luogo comune a tutti i
membri della famiglia: non isolate i vostri figli e non lasciateli soli.

Date rilievo ai siti buoni e al materiale che offrono: promuovete un uso positivo della
rete. Incoraggiate i vostri figli a comunicarvi se s’imbattono in siti sconvenienti e lodateli
per avervelo detto; evitate reazioni esasperate, per non intimidirli.

Insegnate ai vostri figli a utilizzare responsabilmente la posta elettronica. State con
i più piccoli durante la lettura dei messaggi, controllando eventuali allegati.

Non permettete ai vostri figli di usare chat non sorvegliate o non adatte ai ragazzi.

Preparate i vostri figli a non dare a nessuno via internet informazioni personali
(nome, indirizzo, numero di telefono, email o foto) senza il vostro esplicito permesso. Non
consentite che i vostri figli abbiano incontri a tu per tu con persone conosciute su internet,
a meno che non sia presente qualcuno di vostra fiducia.

Stabilite insieme ai vostri figli quanto tempo al giorno possono dedicare alla
navigazione e, soprattutto, non considerate il computer un surrogato della baby-sitter.

10° Incoraggiate un sincero dialogo con i vostri figli riguardo a internet, informatevi sui
loro interessi e sui siti che visitano abitualmente. La miglior protezione sono le buone
relazioni familiari.

I compiti a casa


 


Amici bambini, insegnanti, genitori, qui è Ivan Sirtori che vi parla, psicologo, papà di Gregor e Rebecca, rispettivamente di 7 e 6 anni. Mi avete chiesto di condividere alcune idee intorno al tema dei compiti ed ecco quanto ho da dirvi, in basa alla mia esperienza e alla mia sensibilità.

I compiti a casa sono uno strumento che serve per facilitare l'apprendimento scolastico.
Non sono una necessità (esistono esperienze ben funzionanti di scuole senza compiti), un obbligo (vivere i compiti come una costrizione li rende nemici dell'apprendimento), uno strumento di “punizione” e nemmeno un modo per compensare quello che i tempi stretti della scuola non riescono ad affrontare.
I compiti sono un'occasione per tenere in esercizio alcune abilità (nel leggere, nello scrivere, nel “far di conto” o nell'applicare un metodo allo studio).

Tenere conto di queste semplici premesse può aiutare gli adulti a considerare nella giusta dimensione i compiti e dargli il valore che hanno, come strumento anziché come fine. Altrimenti si rischia di forgiare dei bambini che agiscono meccanicamente, mortificando la propria intelligenza e il proprio spirito d'iniziativa, eseguendo degli “ordini” impartiti dagli adulti, senza capirne il senso. Oppure, al contrario, bambini oppositivi (spesso quelli più brillanti, più originali e meno passivi) che rimangono incastrati in una logica oppositiva, rifiutando le imposizioni adulte perché non ne comprendono il senso e le percepiscono come troppo frustranti ed esagerate.
La capacità di usare i compiti come strumenti, dosandoli (nei tempi e nei modi), spetta anzitutto all'insegnante. E' lui che conosce il programma, i bambini della sua classe e il proprio stile di insegnamento. L'insegnante può così decidere dell'uso dei compiti, tenendo anche conto dell'età dei bambini , a partire da quelli che considero dei principi base ai quali ispirarsi:

-        i bambini devono anzitutto capire il senso che hanno i compiti per la loro vita quotidiana scolastica. L'insegnante dovrebbe condividerlo con i bambini, motivando le sue richieste. Questo ovviamente chiede all'insegnante di essere profondamente consapevole delle proprie scelte. Un insegnante DEVE sempre essere in grado di motivarle; 
-        non si possono dare più compiti di quelli che l'insegnante può correggere nei giusti tempi (senza caricarsi di stress) e con la giusta cura (senza fretta, superficialità o “meccanicità”);
-        non si possono dare più compiti di quelli che i bambini possono gestire in autonomia, senza necessità di un supporto genitoriale. I compiti sono un'occasione per accrescere la propria indipendenza, non un modo per creare stress ulteriore nel sistema familiare (già messo molto alla prova dallo stile di vita contemporaneo) e nemmeno dipendenza nei confronti della mamma o del papà, senza i quali non si riescono a svolgere (perché troppi, troppo difficili o nuovi rispetto a quanto svolto in classe). La presenza del genitore non dovrebbe mai essere necessaria al bambino per comprendere e svolgere i compiti, è semmai (nei primi anni delle elementari) solo un supporto affettivo, una presenza amorevole e motivante, uno stimolo per mantenere focalizzata l'attenzione su quello che si sta facendo;
-        i bambini, per crescere armonicamente, hanno bisogno di sviluppare corpo, cuore e testa insieme; capacità fisiche (equilibrio, forza, autocontrollo, scioltezza, consapevolezza corporea, espressività), capacità emotive (gestione delle emozioni cosiddette “negative”, come la rabbia, il dolore, la paura, la frustrazione; sviluppo di relazioni interpersonali significative; esperienza delle emozioni positive come la gioia, lo stupore, la curiosità, il desiderio, l'entusiasmo, ecc.) e capacità mentali (linguaggio, pensiero, ragionamento, memoria, intuizione, ecc.). Quando pensiamo alla giornata di un bambino, dovremmo  considerare sempre l'equilibrio tra questi 3 aspetti costitutivi dell'essere umano. Il modo migliore per un bambino di mettere in gioco tutte queste competenze insieme e con equilibrio è il GIOCO LIBERO. Grandiose sono le potenzialità espressive e autocurative del gioco non strutturato e su queste ci si potrebbe dilungare a lungo. Se un bambino che passa la sua giornata a scuola, fino a metà pomeriggio (che d'inverno significa concretamente la quasi totalità delle ore di luce), è costretto a continuare a casa il suo “lavoro” - impegnando ancora e soprattuto la MENTE, anziché poter correre, giocare, inventare, stare vicino ai genitori, esprimersi liberamente – non potrà che vivere questa esperienza come stressante, eccessiva, sbagliata, negativa e ne avrà tutte le ragioni, quando i grandi lo capiranno. In tal caso ha più senso organizzarsi per avere il tempo di svolgere i compiti a scuola anziché a casa.

I bambini a scuola, a parte alcune competenze di base essenziali (quelle classiche: leggere, scrivere e far di conto), dovrebbero anzitutto imparare ad imparare, perché questo è ciò che la vita sulla terra richiede. Non persone ben addestrate che hanno in testa vecchie nozioni immutabili apprese a memoria e senza riflessione personale, bensì individui curiosi, interessati, attivi, flessibili, capaci di affrontare le novità, di ricercare informazioni attraverso molteplici canali, di comprendere quello che succede nella realtà quotidiana della propria famiglia e del proprio contesto sociale allargato, di usare strategie mentali, metodi e tecniche per apprendere cose nuove in base alle esigenze della loro vita.

Se tenessimo conto di questo daremmo meno importanza ad inseguire i contenuti e le tappe del programma e interpreteremmo più creativamente gli stessi focalizzando l'attenzione :
  • sul lavoro di sperimentazione di metodi di studio, di memorizzazione, di libera ricerca di informazioni attraverso la biblioteca, internet, il confronto orale con persone adulte del proprio contesto;
  • sul confronto tra pari in classe, e la collaborazione tra gruppi;
  • sull'usare la classe in modi diversi e creativi ridefinendone gli spazi a seconda del tipo di attività che si svolge;
  • sulle attività di ascolto e di lettura espressiva; sulle attività artistiche e motorie.

E ripenseremmo anche i compiti che, a seconda dell'età dei bambini, della sensibilità e della creatività dell'insegnante possono essere dati o non dati; dati ogni tanto; dati quando serve; dati in dose omeopatica; dati solo nel week-end; e anche ripensati: ad esempio, osservare attentamente come gli adulti usano le competenze che i bimbi stanno imparando (ad esempio leggere, scrivere o far di conto) è un bel compito e io credo che molti possano essere i compiti non scritti, ma solo osservativi, contemplativi. Allenerebbero il bambino a creare connessioni tra ciò che imparano e l'uso di questo nel “mondo adulto”, nella realtà che li circonda.

Vi lancio due stimoli che possono essere molto fertili: il testo CARO INSEGNANTE, dell'amico Paolo Mottana, docente in Bicocca di filosofia della pedagogia e il sito dell'esperienza emiliana della Scuola senza Zaino il cui responsabile è il prof. Marco Orsi (www.senzazaino.it).

Grazie del vostro “ascolto”.

Con affetto.

Ivan (Sirtori)

BREVE APPENDICE, al di là del discorso sui compiti

I bambini oggi stanno soffrendo di alcuni mali sociali che gravano anche sul mondo degli adulti e che si riflettono pericolosamente su quello dei piccoli. Ecco solo alcuni elementi di questo malessere, espressi in modo semplice ed essenziale:
-        le giornate sono sempre più all'insegna dello stress, con tempi sempre più stretti per fare le cose, frettolosità, ed eccessiva organizzazione dei tempi (spesso oggi i bambini hanno un'agenda serrata di cose da fare ogni giorno e magari anche nei week-end, proprio come i grandi).
-        L'eccessiva presenza della virtualità (TV, videogiochi, computer) non gestita o gestita con superficialità e scarsa consapevolezza dagli adulti genera un eccesso di stimolazione nel bambino favorendo difficoltà nell'uso dell'attenzione (iperstimolata e continuamente “distratta”)
-        le relazioni con gli adulti sono spesso superficiali, centrate sul FARE (esperienze, da vivere e consumare in fretta, anziché da gustare piano piano) o sull'AVERE (le cure sono fortemente sbilanciate verso la materialità, il cibo, spesso non curato ed eccessivo, i vestiti, gli oggetti, i giochi), mentre ciò che nutre veramente un bambino è l'ESSERE, l'esperienza di stare con un adulto che si impegna a vivere con attenzione, sensibilità, ascolto, esprimendo con equilibrio le proprie emozioni, sapendo parlare con serietà delle cose importanti e ridere con spensieratezza delle situazioni divertenti, che riesca ad esprimere calore, affetto, cura e insieme dare al bambino regole precise, semplici e chiare, e capaci di cambiare al crescere del bambino. 

Qualche antidoto:
-        avere ogni giorno (e in modo speciale e più ampio nei week-end) momenti di gioco libero, di attività non organizzata dove fare quel che l'anima chiede, non quel che si deve (per necessità pratica, imposizione scolastica, ecc.);
-        non usare la TV come riempitivo, sottofondo, baby sitter o compagna dei momenti liberi. La TV è uno strumento, come i videogiochi ed il computer e va regolamentato, proprio perché è così potente (nel bene e nel male). Anche su questo mi piacerebbe dilungarmi, magari in una prossima occasione. A casa mia ad esempio, con i miei bimbi di 7 e 6 anni, la TV si accende solo nei week-end, per vedere un film scelto da loro e condiviso da mamma e papà. Basta. Non serve di più. Qualche piccolo video divertente creativo, interessante o qualche breve documentario ogni tanto, visto per dieci-venti minuti insieme al computer è tutto quanto i miei bimbi sperimentano. La virtualità se supera certi limiti toglie motivazione nel bambino, genera confusione mentale, irrequietezza fisica, e attiva difese nevrotiche da una realtà giustamente vissuta come iperstimolante (e vedere la TV o giocare ai videogiochi per ore ogni giorno è scandaloso e inquietante, se sapessimo davvero il MALE che stiamo facendo indirettamente ai nostri figli);
-        ricavare tempi e spazi per attività “a misura d'uomo”: leggere una storia ad alta voce, passeggiare, andare in bicicletta, cucinare, esplorare luoghi sconosciuti, ecc. Attività che mettono in modo corpo, emozioni e intelligenza insieme, che si svolgono coi ritmi umani del passo, del respiro, del battito del cuore e che ci mantengano sensibili e presenti alle emozioni che viviamo nel momento;
-        passare più tempo a contatto col mondo naturale (boschi, montagne, ruscelli, fiumi, laghi, animali, fiori, frutti, orti, ecc.) ha in sé un potere rigenerante ed equilibrante, capace di riportarci a ritmi di vita naturalmente più sani.


Ivan  Sirtori, nato nel 1974, vive a Sirone con Lara Elli, Gregor e Rebecca.
E’ psicologo e ha una formazione triennale  in musicoterapia, approccio relazionale presso la scuola di Artiterapie di Lecco, e un master biennale in Costellazioni Familiari, presso l’Istituto Bert Hellinger di San Marino.
Si occupa di formazione sia in ambito aziendale sia nel privato sociale su tematiche psicologiche (promozione del benessere/gestione dello stress, ascolto/autoascolto, consapevolezza, pedagogia della morte).
Svolge privatamente attività di counseling psicologico.
Utilizza strumenti di meditazione, rilassamento e autoconsapevolezza, attinti da diverse tradizioni, nelle sue proposte formative e di counseling.
Approfondisce, dal 1997, la sua esperienza di leggistorie presso scuole materne, elementari, medie e biblioteche, con attività educative e formative rivolte a bambini, ragazzi e adulti.
Ama l’arte e particolarmente la musica e la poesia. Come poeta e lettore, collabora con alcuni artisti a progetti di dialogo fra le differenti arti.
Ha contribuito a costituire, nel 2003, la società Torreluna e, nel 2004, l’associazione culturale Gli Abitanti di Torreluna (www.torreluna.com). Ha co-fondato nel 2006, con la moglie Lara e l’artista Davide Maauri, Robindart Factory, gruppo di Arte Sociale (www.robindart.it). L’orientamento del suo lavoro si colloca nel continuum arte per la trasformazione sociale responsabile vs arte della trasformazione personale.



Essere e stare in famiglia


La famiglia come organismo
Il modo in cui pensiamo un concetto ha degli effetti sul reale. Per questo motivo è importante, quando si tratta di tematiche educative fondamentali come la famiglia, enunciare le premesse teoriche sottostanti.  
Spesso, nei testi di psicologia, il nucleo familiare viene paragonato a un sistema in cui  sono presenti  diversi sottoinsiemi  (ad esempio la relazione tra marito e moglie, tra fratelli ecc..) che si influenzano reciprocamente tramite un susseguirsi di azioni/reazioni che vengono ad innescarsi. Questa concezione può portare all’idea di famiglia come a un qualcosa di meccanico, di industriale, non vivo, che porta a parlare di strutture e non di legami.
Noi preferiamo, invece, pensare  alla famiglia come ad un organismo, in quanto  composta da individui. Ovvero, esseri viventi legati tra loro da rapporti. Ognuno, proprio come gli organi che vanno a formare il corpo umano,  assume all’interno del proprio nucleo posizioni, funzioni, diritti, doveri, responsabilità differenti, ma tutti partecipanti e fondamentali  a concorrere alla creazione e all’evoluzione dell’essere una famiglia.
Il singolo non è isolato ma, al contrario, agisce in funzione di un qualcosa di più grande, è parte di una medesima configurazione relazionale che non può ridursi alla mera somma delle singole parti. La famiglia è, infatti, un organismo con una sua coscienza che è data dalla sintesi delle coscienze delle persone coinvolte.
Questa idea può essere resa più intuibile pensando all’immagine che via via emerge durante la costruzione di un puzzle, che acquista bellezza e senso man mano che le connessioni fra tutti i pezzi vengono a crearsi formando alla fine un’unica realtà condivisa.
Limitarsi a pensare alla famiglia come unico organismo sarebbe riduttivo.                                      La famiglia è il nostro primo organismo. E’ quello che ci accoglie, quello d’inizio, che apre le porte all’avventura chiamata “gruppo”: il “Noi”. Altri organismi sono il nostro gruppo di amici, il nostro gruppo di lavoro, il nostro comune, la nostra regione, la nostra nazione, il nostro continente, il nostro pianeta e via dicendo, che si devono regolare secondo precisi rapporti. La consapevolezza di questa interdipendenza dovrebbe condurre le famiglie a passare da una responsabilità individuale e interna a una più diffusa e altrettanto importante che è quella nei confronti della società e del mondo nel quale cresciamo, e di cui poco ci interessiamo.
Torniamo ora all’organismo famiglia… Essere una famiglia cosa comporta? Quali nuovi scenari si creano diventando genitori? Come si può stare bene all’interno del proprio nucleo familiare?
Si può affermare innanzitutto che genitori si è già dal concepimento del futuro nascituro, infatti, la coppia diventa il precettore della famiglia nel momento in cui decide di “creare” un figlio. È altrettanto corretto dire che genitori si diventa, assumendo col tempo responsabilità e compiti sempre nuovi. Infatti essere genitore, come scrive lo psicologo Ivan Sirtori,  sottostà a un processo che si sviluppa di pari passo con la crescita dei figli.
Il bambino è un essere in continua evoluzione e trasformazione, che non smette di interrogarsi e interrogare chi gli sta vicino. Costringe, da una parte, a riportare i genitori a confrontarsi con le loro esperienze familiari pregresse, ovvero a reinterpretare quello che si è appreso attraverso l’esperienza con i propri genitori, e dall’altra ad inventarsi e formarsi, giorno per giorno, come genitore e ad assolvere la “funzione educativa” che solo i figli possono insegnare.
Il bambino diventa grande, ma in realtà a crescere non è solo lui, ma anche i suoi genitori in quanto tutti e tre apprendono nuove esperienze che vanno a modificare l’entità famiglia, la quale è in continua variazione di forma.

Alla ricerca dell’armonia, tra ordine e cambiamento
Ci si vuole ora soffermare su due concetti chiave che, a nostro parere, sono fondamentali per ogni sistema familiare: l’ordine e il cambiamento.
> afferma W. Nelles nel libro “Nella buona e nella cattiva sorte”, descrivendo come non esista nessuna contraddizione tra amore e ordine, ma uno presuppone l’altro. Ogni famiglia nel suo costituirsi e nella sua evoluzione è quindi fondamentale che si autodetermini un ordine specifico interno, che è dato dall’armonia e dal riconoscimento delle varie parti che la compongono.
I genitori per raggiungere l’ordine è importante che stabiliscano con chiarezza i limiti e i confini (intesi entrambi come possibilità e non solo come divieti) del proprio nucleo familiare in modo che “il bambino possa percepire la sicurezza di chi lo sorregge, costruendo dentro si sé la propria sicurezza” (Ivan Sirtori, Riflessario per i genitori).
Sono allo stesso modo necessari una chiara divisione dei ruoli e dei rapporti di gerarchia.  Nel precedente articolo, abbiamo parlato dell’importanza da parte di ogni bambino e ragazzo di sviluppare relazioni sane e funzionali all’interno del contesto scolastico, in quanto questo permette di creare un’immagine e un’identità positiva di sé.
Com’è facilmente intuibile è altrettanto fondamentale che in primis all’interno della famiglia, dalla nascita dei figli, e durante tutta la loro crescita i vari membri  si possano sentire amati e riconosciuti reciprocamente.
Nella preghiera alla famiglia si dice “che l'uomo porti sulle spalle la grazia di essere padre, che la sposa sia un cielo di tenerezza, di accoglienza e di calore e che i figli conoscano la forza che nasce dall'amore”. Queste parole hanno origine dal riconoscimento delle diversità presenti in ogni famiglia, ovvero le differenze di genere (maschile e femminile) e quelle generazionali (genitore-figli) che se accettate nella loro complementarietà danno vita a ruoli definiti, ognuno dotato di una particolare identità e sensibilità. Si è, infatti, dimenticato molto spesso di parlare del padre e della madre, preferendo parlare dell’etichetta comune “genitori”, rischiando così di far confondere, e in alcuni casi perdere completamente, la distinzione fra le due funzioni.
Questa descrizione di ordine familiare, non deve tuttavia far pensare a un qualcosa d’immutabile e statico, ma alla capacità del sistema di mantenere la sua struttura generale pur modificandosi in concomitanza ai cambiamenti a cui il nucleo è sottoposto.
Cambiare vuol dire trasformarsi, andare incontro a delle novità, abbandonare qualcosa che era certo e usuale. Spesso le persone attuano una sorta di resistenza al cambiamento, preferiscono essere conservatrici e respingere le innovazioni, anche quelle che alla lunga si considerano positive. Se invece si pensasse al cambiamento come al normale fluire degli eventi e si sviluppasse maggiore fiducia in se stessi, si riuscirebbe ad accogliere, senza ostacoli, i nuovi scenari a cui la realtà ci sottopone. 
Questo significa anche accettare che i propri figli vivano la loro vita in modo diverso da quello che i genitori avevano “programmato”, lasciando libero il bambino di sviluppare la sua specifica natura, le sue potenzialità, possibilità, paure e ansie.
Ogni genitore, come ha scritto, K. Gibran deve poter essere l’arco che lancia i figli verso il domani, con la consapevolezza che la positività e la forza dell’essere bambini, quando l’infanzia è amata e protetta, potrà sostenere il ragazzo e la ragazza quando si affacceranno sulla soglia quanto mai instabile del divenire adulti, cioè se stessi, realizzando potenzialità e attese del sogno della giovinezza (Lizzola, “Di generazione in generazione. L’esperienza educativa tra consegna e nuovo inizio”).

Il disagio scolastico


Alcune considerazioni sul disagio
La scuola, insieme alla famiglia, è la principale agenzia di formazione e di socializzazione dell’individuo, uno dei perni su cui far leva per promuovere il benessere fisico, psicologico e relazionale dei ragazzi. Essa, infatti, non è e non può̀ essere solo il luogo in cui si realizza la semplice trasmissione delle nozioni, ma al contrario la scuola è luogo di vita, dove si sperimentano molteplici incontri con i coetanei, dove si impara la convivenza civile e a relazionarsi con gli adulti. Alcune di queste esperienze si tramutano in importanti occasioni di crescita che verranno ricordate negli anni, altre si risolveranno con il ciclo di studi, altre ancora, infine, potrebbero produrre contrasti, disagi e sofferenza.
Ogni individuo entra nella scuola con il proprio patrimonio di esperienze e ciascuna storia personale si incontra e scontra con quella degli altri, pari e adulti, e con l’istituzione (le sue regole, le sue richieste, il suo funzionamento).
Il disagio scolastico è allora l’espressione dinamica di questo intreccio complesso di fattori individuali, dinamico-evolutivi e istituzionali che coinvolge a più livelli l’intero sistema-scuola, i suoi attori e il contesto tutto.
L’espressione “disagio scolastico” indica una condizione di disagio che si manifesta appunto soprattutto all’interno della vita scolastica sul piano relazionale, comportamentale, degli apprendimenti ma non necessariamente riconducibile a specifiche cause di tipo psicopatologico. Si può definire il disagio come “uno stato principalmente emotivo, non correlato significativamente a disturbi di tipo psicopatologico, linguistici o di ritardo cognitivo, che si manifesta in tutta in una serie di comportamenti e atteggiamenti mentali disfunzionali che impediscono al soggetto di vivere adeguatamente l’esperienza e le attività scolastiche e di impiegare al massimo le proprie risorse cognitive, affettive e relazionali”. (Mancini e Gabrielli,1998)

Come e perché intervenire
Tutta la letteratura scientifica in psicologia e pedagogia e chi lavora quotidianamente nell’ambito dell’educazione e del recupero sono concordi nel ritenere che recuperare le capacità empatiche e le competenze emotive rappresenti il miglior fattore di protezione allo sviluppo di varie forme di disagio, soprattutto quelle che si manifestano a scuola.
Queste competenze si acquisiscono generalmente nella prima parte della vita attraverso relazioni affettive importanti e positive. Ma quando il nucleo familiare non favorisce tali opportunità, la scuola è inevitabilmente chiamata a recuperare e compensare.
E’ il luogo dove i ragazzi trascorrono la maggior parte del loro tempo, il luogo in cui si sviluppano relazioni significative, confronti e conflitti, scambi affettivi, prove di socialità e sfide evolutive. Proprio per questa sua centralità nella vita del bambino o ragazzo è importante che la scuola rifletta sulle modalità con le quali entra in contatto con i suoi studenti e sulla funzione formativa, educativa e preventiva che inevitabilmente si trova a svolgere.
La scuola può pensare e individuare l’offerta formativa come anche occasione per aprire spazi di sperimentazione e riflessione e per costruire percorsi attraverso i quali il potenziamento della dimensione culturale e la maturazione affettiva procedano di pari passo. 

In una prospettiva che considera il disagio come l’espressione di un intreccio di fattori che riguardano l’individuo all’interno dell’intero sistema-scuola, contrastare il disagio significa “prevenire” e dunquepromuovere il benessere”.
Benessere inteso come una dimensione globale e trasversale dell’essere a scuola e del fare scuola e che si deve imporre non solo come obiettivo ma anche come un indicatore del successo del funzionamento scolastico.
La parola d’ordine quindi è PROMOZIONE, ovvero lo sviluppo di strategie dello stare bene a scuola, in quanto non è possibile nessuna didattica senza promuovere il benessere intorno e dentro il soggetto. E’ necessario creare momenti di partecipazione attiva alla scuola che allo stesso tempo possano contribuire alla costruzione della propria identità.
L’autostima, la creatività̀, la capacità di percepire il futuro e di progettarlo, di gestire il tempo, di desiderare, di prendere decisioni, di interagire efficacemente con gli altri sono potenzialità̀ che vanno accompagnate e coltivate con dedizione (prevalentemente all’interno del nucleo familiare) e competenza (prevalentemente in ambito scolastico).
Una buona gestione del proprio mondo interiore emozionale rappresenta la migliore garanzia di benessere psicofisico. Le emozioni sono importanti perché attraverso la loro percezione, la loro decodifica e la loro espressione si entra in contatto con la dimensione più̀ profonda di sé stessi e degli altri. La capacità di identificare e gestire le emozioni non è, come si può̀ credere, un’attitudine innata, ma è appresa. Se per qualche motivo questo apprendimento non avviene o avviene parzialmente e in modo distorto, si corre il rischio di percepirsi sempre precari, mutilati, diminuiti, non adeguati rispetto al senso di continuità̀ nel tempo, nello spazio, nelle relazioni e nei ruoli sociali, fino a sviluppare disagi, sintomi, comportamenti disadattati e devianti.

Nel recupero delle competenze emotive capaci di generare un appropriato grado di empatia, la comunicazione diventa un elemento fondante la relazione educativa.
Nel precedente articolo avevamo sottolineato l’importanza di vivere la diversità di ognuno scoprendo il valore dell’equivalenza che accomuna gli esseri umani; la necessità di intendere la vita dal punto di vista dei rapporti e quindi delle modalità di relazione che intessiamo tra di noi.
Nella riformulazione della qualità dello spazio educativo, la comunicazione deve assolvere al suo significato di “portare un dono” (cum munus), un dono che acquista senso ed efficacia se lo offriamo all’altro, al bambino, creando una comunione con lui. 
Che cos’è la comunicazione?
E’ un bisogno elementare e fondamentale dell’uomo, capace di generare stabilità e continuità nei rapporti, è il collante dei sentimenti che può rafforzare il tessuto sociale incrementando la considerazione, l’accettazione e la fiducia fra le persone.
Non possiamo pretendere nessun sviluppo sociale, culturale e quindi educativo senza comunicare gli uni con gli altri, senza esprimere i rispettivi bisogni e condividerli nella dimensione dei rapporti.
La nostra parola, per essere compresa, deve rivestirsi di linguaggio.                                              
      Il linguaggio, da questo punto di vista, è lo strumento che noi utilizziamo per comunicare.
Se questo strumento fosse perfetto, trasparente, ci consentirebbe di realizzare la vera empatia. Purtroppo esso è sottoposto alle nostre influenze emotive e deviato dalle ambizioni personali, dagli scopi utilitaristici anziché finalizzato alla verità e alla chiarezza.
Ai nostri bambini insegniamo a parlare, a scrivere, a leggere, ma non ad ascoltare e a comprendere realmente la realtà che li circonda partendo proprio dagli altri.
Una vera e profonda formazione relazionale è ciò che manca nell’offerta didattica e pedagogica delle nostre scuole.
Insegnare ed educare ad affrontare con efficacia e in armonia i rapporti interpersonali, è un principio etico-educativo da costituire per conquistare un linguaggio che sia rispettoso della diversità e per poter costruire reciprocità e unità.
La comunicazione è un atto creativo.
Per mezzo di essa possiamo generare benessere o produrre disagio e malessere all’interno dell’organismo di cui facciamo parte (famiglia, scuola, lavoro, rapporto di coppia…). Accettare e riconoscere questa responsabilità ci permette di valutare e dare valore alle parole che diciamo ai nostri bambini, allontanandoci dagli stereotipi che ci siamo costruiti e che ci condizionano nel rapporto con loro.        
Una sana azione educativa non deve avere solo uno sguardo sul presente, perché questo può portare al rischio di rimanere fossilizzati sui deficit, sui disapprendimenti o sul disagio presenti nella condizione attuale, generando fissità. E' necessario, invece, introdurre nell'ottica educativa una componente dinamica  rivolta allo sviluppo potenziale del soggetto e alle sue possibilità future.                                                               Va riscoperto nel linguaggio il luogo d’incontro tra la propria intelligenza e quella degli altri, reimparando il rispetto dell’interlocutore, l’ascolto delle sue ragioni e necessità, la trasparenza e, soprattutto, la costruttiva intenzione di condividere e ricondurre il tutto ad una comun-azione.
Spazio Tex
Uguaglianza o equivalenza ? Un concetto che lega l’umanita’ intera: il nostro egual valore di fronte alla vita

Nella concezione di ciò che viene definito e riconosciuto come disabilità, si esprime come diretta correlazione e riflesso, il tema della diversità degli esseri umani.                                                                                         
     Il ricondurre l’umanità sotto il profilo dell’uguaglianza degli uomini, di fronte alla disabilità e alla pluralità della sua manifestazione, deve cedere il passo ad un nuovo concetto che lega l’umanità intera: l’equivalenza.  Il nostro egual valore di fronte alla vita.
 Noi abbiamo il diritto di godere degli stessi diritti sanciti dalla società di cui facciamo parte, come abbiamo il dovere di rispettarli e di ritenerli rispettati per tutti. Abbiamo il diritto di essere rispettati (la parola significa proprio “tener conto di”), ascoltati, compresi, considerati, valorizzati per quello che siamo ed esprimiamo; abbiamo il dovere di fare questo nei confronti di noi stessi e degli altri. Ma soprattutto abbiamo la capacità di conformarci a tutto questo secondo le nostre differenti  potenzialità e il nostro differente valore.                                                                                                                  Il grande assioma dell’Amore “Ama il prossimo tuo come te stesso”, che si esplica nel “Non fare all’altro ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso”, mai come prima d’ora deve riscoprirsi nell’eccezione positiva di “Fai all’altro ciò che vorresti fosse fatto per te.”                                                                                                                                         A ragione, le parole della Commissione Europea, sul tema “Delivering and Accessibility “ del 26/9/2002, dicono che il concetto di disabilità è cambiato nel tempo: essa non è solo un attributo della persona, ma un insieme di condizioni, potenzialmente restrittive, derivanti da un fallimento della società nel soddisfare i bisogni delle persone e nel consentire loro di mettere a frutto le proprie capacità.                                                                                                                                                                   Da un concetto restrittivo di disabilità si pone l’accento sulla limitatezza della partecipazione nei confronti della soddisfazione dei bisogni dell’individuo.                                                                                                  
                                                                                         

 E’ bene tener presente che l’umanità è a tutti gli effetti un organismo. Un organismo è un essere basato sulla molteplicità di aspetto, cioè sulla diversità di tutti coloro che ne fanno parte e sulle loro singole funzioni, le quali dovrebbero essere rivolte al benessere di tutti, affinchè sia possibile la realizzazione di: Armonia, Bellezza e Bontà.                                                                                                             La garanzia della partecipazione è il sintomo positivo della reciprocità, qualità essenziale affinchè, all’interno di un organismo (famiglia, scuola, associazione….), si realizzino giusti e retti rapporti.          La reciprocità presuppone quindi che alla base di un rapporto sussista un corretto scambio di bisogni, la mancanza di partecipazione quindi nega il rapporto e nega la libertà all’individuo di potersi esprimere secondo le sue potenzialità.                
 La vita è rapporto.                                                                                                                                      
  Ogni disarmonia, disequilibrio, contrasto, conflittualità, trovano origine nella mancata capacità di comprendere i rapporti.                                                                                                                                        Capire su cosa si fonda una relazione, il perché e il come porsi è uno stato di necessità sempre più impellente a cui l’uomo deve saper rispondere dotandosi di disponibilità, adattamento e flessibilità.                                                                                                                                                                               Come posporre tutto questo nella gestione della disabilità di un bambino?                                              
 La prima risposta che dovrebbe essere data con umiltà alla domanda “Cosa facciamo in merito alle difficoltà di questo bambino?”  è: “Non lo so. Non lo so perché ancora non lo conosco.”                       
Questo presuppone la buona volontà di spostarsi dalla diagnosi scientifica (indispensabile ai fini dell’inquadramento della patologia) ad una “diagnosi di rapporto” in cui sviluppare la conoscenza e l’esperienza in un processo che consenta, nel tempo, di assimilare e avere più coscienza della persona, del bambino. E’ un aspetto etico nel lavoro di chi educa, che lo porta a perseguire ciò che qualifica il significato stesso della pedagogia (dal greco paidagogòs = colui che conduce).  L’educatore, l’insegnante, il genitore deve condurre la relazione partendo dalla giusta comprensione e dalla necessità di considerazione che alberga in ognuno di noi, realizzando l’espressione delle qualità più pure e positive della persona nella sua interezza.                                    L’accordo fra giusta comprensione e considerazione porta alla coerenza in ciò che operiamo e agiamo nei confronti del bambino. Per sua natura il bambino è una realtà globale  nel senso che il suo essere si forma e plasma in base all’ambiente in cui è inserito. L’ambiente o meglio lo spazio non è fatto solo di cose ma si qualifica in base ai pensieri, alle emozioni e alle azioni che noi portiamo all’interno di esso. Più importante dei contenuti didattici e pedagogici dei nostri programmi educativi, è forse il modo personale in cui li attuiamo e, in ultima analisi, il nostro atteggiamento interiore ed i valori che abbiamo davvero integrato in noi (“Il bambino realtà globale” a cura di Brigitte Beretta e Letizia Galiero Ed. Macro).  
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